L’esperienza non fa apprendimento
Sento molte persone che, a fronte delle “lune viste passare”, a fronte delle gare portate a termine, a fronte delle esperienze di vita vissuta, affermano che hanno esperienza e quindi sanno.
Ricordo di una mia affermazione che feci rivolgendomi ad una persona che si vantava di avere qualche anno in più di me e, quindi, ne sapeva qualcosa in più. La mia risposta fu breve, semplice e tanto reale:
“l’esperienza non fa apprendimento. È la riflessione sull’esperienza che permette al soggetto di imparare”.
Chiaramente non è mia questa frase, ma è la citazione di un noto filosofo pedagogista statunitense. Se stai cercando il nome del personaggio, mi fa piacere, soprattutto se sei uno di quelli che dall’esperienza vuole imparare e soprattutto la vuole usare per insegnare agli altri. (nel secondo caso, leggete un pochino di ironia).
Ma cosa vuole dire? Cos’è questa benedetta riflessione? Come posso fare e chi mi può aiutare?
Rispondiamo con calma a queste domande.
Per spiegare cosa vuol dire riflettere sull’esperienza, possiamo fare riferimento ad alcune teorie:
La teoria di apprendimento dall’esperienza di Kolb si presta bene allo scopo. Questa teoria rappresenta un interessante supporto alla riflessione, anche se viene utilizzato soprattutto in ambito scolastico. Il tema può essere trasformato in problema con la tecnica dei questionari pedagogici, dando origine ad uno strumento utile a indagare.
Altra situazione possiamo ritrovarla nello schema qui sotto dove nella La persona (1) si trova implicata in una situazione (2) che rappresenta per lei un’esperienza (3). Da questa premessa possono derivare conseguenze diverse. Per es., il percorso 1 – 2 – 3 – 4 conduce ad una risposta di sostanziale non apprendimento (la persona non è cambiata); mentre il percorso 1 – 2 – 3 – 6 – 9 conduce ad un apprendimento non riflessivo (la persona è cambiata solo in apparenza); invece il percorso 1 – 2 – 3 – (5) – 7 – 5 – 8 – 6 – 9 porta ad un apprendimento riflessivo simile a quello descritto da Schoen: la persona è realmente cambiata.
(cit. Provincia Torino )
Il ciclo riflessivo ha 4 fasi: le quattro fasi si susseguono nel seguente ordine: 1 – Presenza nell’esperienza; 2 – Descrizione dell’esperienza; 3 – Analisi dell’esperienza; 4 – Sperimentazione. Quest’ultima fase rappresenta anche l’inizio di una nuova esperienza e il ciclo si ripete.
Qui le fasi seguono una ben delineata sequenza ideale: si inizia dalla presenza, nell’esperienza bisogna esserci davvero, si passa a descrivere minuziosamente l’esperienza. È importante non dare per scontato che descrivere l’esperienza sia banale. Si incappa facilmente in interpretazioni che tendono a spiegare quanto è accaduto.
Una volta completata la prima fase, ma solo dopo averla descritta avulsa da qualsiasi interpretazione, si cerca di dare significato alle azioni compiute per poter spiegare quanto accaduto. Infine si decidono e si attuano azioni adatte e opportune o potremmo dire intelligenti, ma attenti alle prospettive.
Il ciclo non è obbligato: nessuna di queste fasi può darsi per scontata, più frequentemente deve e può essere imparata, anche se la sequenza può differire da quella indicata.
Detto questo, mi piace sottolineare che ci sono operazioni che possono essere apprese in autonomia. Provando e sperimentando da soli ma, come mi piace sempre ricordare, ci sono professionisti che possono aiutarci per svolgere il lavoro in modo efficace, efficiente e soprattutto per non commettere errori che potrebbero essere dolorosi. Come è successo ad un caro amico di vecchia data (vecchia non solo la data) che un giorno ha deciso di farsi otturare una carie da un ‘professionista’ di paste speciali. La pasta era meravigliosa, resistente e il lavoro era perfetto. Peccato non fosse stato ripulito bene… odontoiatra contento a cui si, ovviamente, dovuto dire che il macello lo aveva eseguito un ‘suo’ collega.
Quindi..
… avanti tutta carissimi mental coach, preparatori e “guide” che, da un brevissimo percorso vogliono far percorrere lunghi tragitti.
Buone corse e buone riflessioni.
Ps se non hai ancora trovato il nome dell’artefice della frase, eccolo QUI