Resilienza, ancora resilienza, ne abbiamo già parlato, quindi, non starò di certo qui ad esporvi nuovamente cos’è, ma voglio solo condividere con Voi un breve allenamento che, a mio parere, si è trasformato in un piccolo Resilient-Training.
Ore 18.30. Gardone Val Trompia.
Finisco di lavorare e penso alla corsa che finalmente riuscirò a fare. L a seduta dal fisioterapista della sera precedente mi ha particolarmente provato e, su consiglio del professionista, decido di abbandonare l’allenamento in salita e mi preparo a macinare un po’ di chilometri senza troppo dislivello. Penso ad una quindicina, per non esagerare.
Ore 19.00 preparo tutto il materiale necessario. Voglio correre quasi tre ore, con calma:
In poco tempo sono a valle. Comincia la pista ciclabile che mi porterà a casa.
Ore 22.00. 20 km di soddisfazione.
La resilienza è anche riconoscere i propri errori per agire diversamente successivamente, ma anche non lasciarsi prendere dallo sconforto (beh, non ero nel deserto in pericolo di vita, ma avrei potuto annullare un allenamento e perdere un’occasione!) e trovare strategie per risolvere i piccoli affondi (l’acqua, la pila, etc.).
Bene così!
#inviaggioversoisogni godendo delle bellezze che la natura ci offre.
Maurizio S.
- Zainetto
- Borraccia con Sali
- Frontale
- Paravento
- Maglietta
- Frutta secca
- Bottiglia di acqua per Ariel
- GPS-SpotGen3
- Fischietto
- Telo d’emergenza
Il terreno che incontrerò sarà un misto e misto bagnato. La scelta delle scarpe verte, quindi, sulle MT2: calzata comoda, suola con un buon grip, ma soprattutto più adatta ad affrontare il fondo di una ciclabile, i tratti, seppur brevi, di asfalto, ma anche terreni accidentati e fondi bagnati.
Ore 19.30 si parte.” Litigo” 10’ con il GPS che non risponde alle mie volontà.
Mi rendo conto che devo impostare meglio la strumentazione. Riesco finalmente, tra un sorsetto di acqua e un’imprecazione a mettere tutto in moto. Ora tocca alle gambe fare il resto. Correndo da solo e per parecchio su sentieri poco battuti ritengo fondamentale utilizzare strumenti per essere rintracciato o per lanciare l’allarme in caso mi succeda qualcosa. Facendo sempre l’impossibile per far sì che questo non avvenga. Così mi affido allo SpotGen3.
Parto. Percorro i primi 750 metri, contento. All’inizio sembra sempre facile. Il corpo risponde bene. Sento però che manca qualcosa. Lo zaino è poco bilanciato. Faccio un check. Penso a come idratarmi e soprattutto a dove recuperare con la frutta. Ho tutto in testa. Ecco, quasi tutto. Lo sguardo scende sullo spallaccio e comprendo il motivo dello sbilanciamento:: la borraccia è rimasta sul muretto dove avevo sorseggiato un po’ d’acqua mentre sistemavo lo Spot.
3 ore senza acqua non è il massimo, ma tornare vorrebbe dire rincasare molto tardi. Ricordo dell’acqua di scorta per Ariel e, soprattutto che c’è un punto d’acqua poco dopo la metà del percorso.
Pazienza, prima di questo punto la condividerò con Ariel.
Arrivo a Sarezzo (BS), passando sulla ciclabile che costeggia il fiume Mella. Sono abbastanza veloce, sono contento e comincio la salita verso la località Castello. Mi rendo però conto che verrà buio prima del previsto, anche perché non riesco a non fermarmi ad ammirare i luoghi che sprigionano i miei ricordi. Sentieri e luoghi che frequentavo da piccino.
Il Castello è una vecchia cascina caratterizzata da un fascino intramontabile, nonostante ormai sia Pian piano corrosa dal tempo. Dietro questa splendida casa che si affaccia sulla valle c’è un enorme prato e, non appena mi accingo ad attraversarlo mi accorgo che vi è un recinto che mi sbarra la strada. Intravedo un puledro, che mi guarda un po’ sospettoso. “Bello!”, penso, ma la mamma dov’è? Ammetto che un pizzico di preoccupazione mi sale lungo la schiena. La vedo e, rendendomi conto che sta mangiando serenamente esco dal recinto. Estraggo due fruttini e li chiamo. La loro curiosità non li trattiene e la preoccupazione lascia spazio ad un piccolo momento tanto magico quanto dolce.
Bene, alzo gli occhi al cielo, i colori delle nuvole mi ricordano che devo muovermi con un ritmo basso.
Decido di salire fino alla località Lobartél per fermarmi e prepararmi all’oscurità imminente.
Arriva proprio in questa sosta una piccola doccia fredda. La frontale non funziona se non per 15”. Le batterie erano nuove, ma evidentemente è rimasta accesa. Bastano pochi minuti per abbandonare il pensiero e l’imprecazione contro una sfiga che si è accanita nei miei confronti e riconoscere il mio errore: prima di partire non ho controllato il funzionamento, forte del fatto che avendo messo le batterie nuove pochi giorni prima, non fosse necessario.
Poco male, cercherò di essere più veloce per fare un tratto più breve al buio.
Il concetto di velocità si scontra con la voglia di ammirare il panorama, il bosco, ascoltare i rumori che la natura ci concede durante l’imbrunire e così mi ritrovo al Presepe della Valle di Sarezzo con poca luce. Per fortuna gli alpini hanno fatto un meraviglioso sentiero e, nonostante la luce continui a calare, riesco ad arrangiarmi. Devo raggiungere località Grassi e poi scendere per la val Vandeno. Non è molto, ma una volta sceso gli ultimi 3 km sono sulla ciclabile e, quindi sicuri, ma devo ancora arrivarci.
Perdo qualche minuto nel bosco rispondendo ai richiami degli animali notturni. È meglio muoversi, nei tratti di sentiero in cui il bosco è più rado ed è possibile tenere un buon passo.
Strategie da trovare.
Il buio è ormai calato. Mi basterebbe una fievole fiamma per scorgere meglio il sentiero e, siccome non dispongo di una lanterna a carburo, penso che il telefono possa assolvere egregiamente a questo compito. Unica preoccupazione sta nella resistenza della batteria.
Durante la salita tengo monitorato il consumo e mi rendo conto che regge alla grande. Regolo l’intensità della luce e comincio a divertirmi tra i saliscendi del sentiero.
Arrivo alla Forcella Vandeno.
Comincia la discesa. Non posso dire di essere veloce, ma sono molto soddisfatto di come le gambe si muovono. Scendo ad un ritmo di poco sotto i 5’/km su un sentiero non troppo tecnico ma con molte rocce e tratti bagnati.
La fiducia nelle scarpe, che svolgono egregiamente il loro lavoro, è tutto. È necessario fare attenzione a dove e come mettere i piedi e per svolgere questo compito, l’occhio è importante, ma in queste condizioni è un connubio perfetto tra piede, vista e istinto. Il passo corto e agile, conseguenza degli allenamenti degli ultimi mesi, aiutano molto a muoversi su un terreno accidentato.
In poco tempo sono a valle. Comincia la pista ciclabile che mi porterà a casa.
Ore 22.00. 20 km di soddisfazione.
La resilienza è anche riconoscere i propri errori per agire diversamente successivamente, ma anche non lasciarsi prendere dallo sconforto (beh, non ero nel deserto in pericolo di vita, ma avrei potuto annullare un allenamento e perdere un’occasione!) e trovare strategie per risolvere i piccoli affondi (l’acqua, la pila, etc.).
Bene così!
#inviaggioversoisogni godendo delle bellezze che la natura ci offre.
Maurizio S.