“Anno dopo anno, impari a spostare la sofferenza. Quello che un anno è sofferenza, l’anno dopo è solo fatica. Hai maturato fisicamente, ma soprattutto psicologicamente la capacità di accettare il disagio”.

Roberto Ghidoni

Rovistando, leggendo e assaporando libri di pedagogia e psicologia, posso prenderne la definizione e scriverla così: la “Comfort Zone” rappresenta una condizione mentale di sicurezza che, per alcuni è un punto di arrivo o un traguardo, mentre per altri è uno stato di passaggio o un caldo e luogo sicuro in cui tutto sembra andare per il meglio, ma in realtà si percepisce uno strano desiderio di cambiamento.

È preferibile stare o uscire dalla “comfort zone”? Se rileggiamo e proviamo a tradurre letteralmente queste due parole, potremmo interrogarci su cosa possa spingere una persona a desiderare di uscire da una situazione di benessere e di comodità. Se invece analizziamo meglio e sposiamo il significato che oggi viene perlopiù assegnato a tale concetto, allora, viene naturale chiedersi come si possa considerare “confortevole” un benessere apparente da cui, più o meno consciamente, si vuole fuggire per sperimentare una nuova dimensione.

Stare nella “Comfort Zone” non è sbagliato. Il giusto equilibrio può essere identificato nella capacità di sfruttare tale zona in seguito ad un periodo particolarmente stressante, quando fisicamente e mentalmente, quindi, abbiamo bisogno di riprenderci dopo un forte stress.

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Maurizio S.