“Peer”, letteralmente “PARI”, non stiamo parlando di ‘pari e dispari’, ma di Pari inteso come stessa età, l’essere coetanei, stesso gruppo, condizione lavorativa, genere sessuale, status, entroterra culturale o esperienze vissute.

Il gruppo dei Pari è quindi quel gruppo caratterizzato da giovani che si posizionano sullo stesso piano.

Il perché di questa introduzione lo possiamo comprendere dopo aver letto l’articolo che la Gazzetta dello Sport (attenzione, attenzione!) riporta proprio oggi.

Il titolo vuole richiamare uno strumento che pare stia avendo buoni risultati: la Peer Education.

La Peer Education, alla lettera “educazione tra pari”, ma secondo alcuni autori più correttamente traducibile come “prevenzione tra pari” , è un metodo d’intervento particolarmente utilizzato nell’ambito della promozione della salute e nella prevenzione dei comportamenti a rischio. In essa, alcuni giovani opportunamente formati e definiti i “Peer Educator”, intraprendono attività educative con altri loro pari. Queste attività educative mirano a potenziare le conoscenze, gli atteggiamenti, le competenze che consentono di compiere delle scelte responsabili e maggiormente consapevoli riguardo alla salute, al benessere ed all’inclusione sociale. La Peer Education si prefigge dunque di ampliare il ventaglio di azioni di cui una persona dispone e di aiutarla a sviluppare un pensiero critico sui comportamenti che possono ostacolare il suo benessere fisico, psicologico e sociale e una buona qualità della vita.

L’evento descritto non è di certo una Best Practice di Peer Education, piuttosto un evento che dovrebbe essere scongiurato grazie ad essa. Risulta però fondamentale pensare che in ambito educativo i risultati non siano immediati, ma è necessaria osservare con lungimiranza sia la progettazione che la valutazione. Troppo spesso, in ambito progettuale, ci si immagina che il risultato sia consecutivo all’intervento, come se fosse una sorta di Verifica, dove la Valutazione viene subito dopo.

Ad oggi la situazione non è meglio o peggio di una volta, chiedo scusa ai nostalgici, ma una volta NON SI STAVA MEGLIO!, è semplicemente cambiata, modificata e se con essa non modifichiamo il modo di pensare, progettare l’educazione e la trasmissione di Valori, allora la responsabilità (quella che spesso viene definita COLPA) non ricade sul questo branco, ma di chi non ha costruito un metodo efficiente ed efficace.

Insomma possiamo e dobbiamo pensare che l’educazione sia come seminare dei piccoli semi. Daranno il loro frutto se riusciremo a riconoscere e valutare il terreno che lo accoglie e fornirlo di quanto necessario per la crescita, ma ci vorrà tempo. Auguriamoci di non dover piantare semi di Datteri, ma facciamo si che possano essere piccoli semi di Quercia.