Il primo viaggio… …È cominciato il mio percorso, 53 chilometri trascorsi condividendo la passione con qualche centinaio di folli. Il bello di essere in mezzo a tanti, ma di poter correre anche da soli. Ognuno con il suo ritmo, ognuno con la sua testa, ma con la volontà di essere anche accanto a chi è in difficoltà. Questo è quello che ho sperimentato sette giorni fa. Fare trail e anche questo: il pettorale che ti è accanto non è un avversario, ma colui che può salvarti la pelle. Certo non era una gara estrema, non era una vertical ad alte quote, ma correre su questi sentieri presenta comunque un rischio da prendere in considerazione. Esserne consapevoli è necessario per avvicinarsi a questo mondo in modo coerente e sicuro. Come prima volta, ho avuto qualche dubbio: al 35º km ad esempio mi sono domandato quanto fosse stato un azzardo. Al 36º ero certo Che, comunque, sarebbe stata una magnifica avventura quasi certo che la testa mi avrebbe portato in fondo. Al 56º km, tre in più del previsto, l’avventura non si era conclusa sotto lo striscione Dell’arrivo, ma continuava e, anzi, prendeva il volo ricordando i panorami e i momenti di quelle 9 ore scarse appena concluse. Cosa spinge un uomo o una donna (molte donne sono arrivate prima di me) a percorrere così tanti chilometri e, soprattutto, a costringere le gambe a continuare a correre in quegli ultimi 5, 10 o 15 km in cui doloranti preferirebbero fermarsi, È difficile spiegarlo in un post: È meglio viverlo! La corsa e la corsa in montagna sono, per me, soprattutto un viaggio mentale. Un percorso. Un percorso che questa volta ho deciso di seguire senza vincoli di tempo, ascoltando il corpo e la mente. Contento che, queste due mie parti, mi hanno permesso di giungere alla fine del tracciato senza sforare il tempo massimo stabilito dalla gara. Per la prima volta sono un “FINISHER”